Autrice: Alessia Guarnaccia

La grande emergenza climatica e le soluzioni da implementare per fronteggiarla, rappresentano un punto di snodo, una sfida cruciale a cui la civiltà umana è chiamata urgentemente a rispondere.

Già nel 1990, il primo report dell’Intergovernmental Panel on Climate ChangeIPCC (gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico istituito nel 1988 dalle Nazioni Unite accorpando il United Nations Environment ProgrammeUNEP e il World Meteorological OrganizationWMO) rimarcò «il rischio di un riscaldamento globale con effetti sul clima a causa dell’aumento delle emissioni antropogeniche di gas serra, causato principalmente dall’uso di combustibile fossile».

E’ del 1992 poi un trattato internazionale fondamentalein materia di lotta contro i cambiamenti climatici (197 parti contraenti tra cui l’Unione Europea e tutti i suoi Stati membri), si tratta della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (United Nations Framework Convention on Climate ChangeUNFCCC – nota anche come Accordi di Rio, in vigore il 21 marzo 1994), prodotto dalla Conferenza sull’Ambiente e sullo Sviluppo delle Nazioni Unite (United Nations Conference on Environment and DevelopmentUNCED – nota anche come Summit della Terra). Obiettivo dichiarato del trattato: «raggiungere la stabilizzazione delle concentrazioni dei gas serra in atmosfera a un livello abbastanza basso per prevenire interferenze antropogeniche dannose per il sistema climatico».

L’accordo includeva la possibilità che le parti firmatarie adottassero, in apposite annuali conferenze (Conference of the PartiesCOP), atti ulteriori (“protocolli“) che avrebbero posto i limiti obbligatori di emissioni”.

Tra questi successivi atti, legalmente vincolanti, finalizzati alla riduzione di emissioni di gas a effetto serra, è del 1997 il cosiddetto protocollo di Kyōto (ratificato in occasione della COP3, da 192 parti contraentiCMP, compresi l’UE e i suoi Paesi membri), con il quale furono concordati due periodi di impegno: primo periodo (2008-2012) – i Paesi partecipanti si sono impegnati a ridurre le loro emissioni in media del 5% rispetto ai livelli del 1990”; secondo periodo (2013-2020) – le parti che hanno aderito a questo periodo si sono impegnate a ridurre le loro emissioni almeno del 18% rispetto ai livelli del 1990”. Il protocollo di Kyōto ha interessato però solo il 44,2% circa delle emissioni globali, dato che molti dei principali soggetti responsabili delle emissioni non ne presero parte (MEMO/03/154).

Il primo accordo universale giuridicamente vincolante sui cambiamenti climatici, è l’accordo di Parigi (Paris Agreement), adottato alla conferenza di Parigi sul clima (COP21) nel dicembre 2015. Perché l’accordo entrasse in vigore, almeno 55 Paesi che rappresentavano almeno il 55% delle emissioni globali avrebbero dovuto depositare i propri strumenti di ratifica”(190 sono state le parti contraenti). L’accordo fu formalmente ratificato dall’UE il 5 ottobre 2016,entrando ufficialmente in vigore il 4 novembre 2016.

L’accordo di Parigi definisce un “quadro globale per evitare pericolosi cambiamenti climatici limitando il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2 °C e proseguendo gli sforzi per limitarlo a 1,5 °C”. L’accordo mira anche a “rafforzare la capacità dei Paesi di affrontare gli impatti dei cambiamenti climatici e a sostenerli nei loro sforzi.

Come apporto agli obiettivi dell’accordo, i Paesi firmatari sono impegnati a presentare, ogni cinque anni, un contributo determinato a livello nazionale (Nationally Determined ContributionsNDC).

Nel dicembre 2020, l’UE ha presentato il suo NDC contenente “l’obiettivo aggiornato e rafforzato di ridurre almeno del 55% le emissioni di gas a effetto serra entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990” (2030 Climate & Energy Framework).

L’accordo di Parigi è considerato un ponte tra le politiche odierne e la neutralità rispetto al clima da raggiungere entro la fine del secolo”. La neutralità carbonica(Carbon Neutrality) consiste nel raggiungimento di un equilibrio tra le emissioni e l’assorbimento di carbonio ed è l’obiettivo a lungo termine (2050) che si è prefissata l’UE (2050 Long-Term Strategy), obiettivo che “costituisce il cuore dell’European Green Deal” (COM(2019) 640 final).

L’UE riconosce nel Green Deal europeo, «che fa della sostenibilità – in tutte le accezioni del termine – e del benessere dei cittadini», il punto cardine della sua azione e lo individua come la sua «nuova strategia di crescita» (“Strategia annuale di crescita sostenibile 2020COM(2019) 650 final)

In questa prospettiva l’UE ha assunto la consapevolezza della necessità di rendere l’intera economia europea, sostenibile, pur mantenendo la competitività dell’industria: è del marzo 2020 l’adozione infatti anche di una nuova strategia industriale (“A New Industrial Strategy for Europe” COM(2020) 102 final) ed è del luglio 2020 la strategia energetica (Energia per un’economia climaticamente neutra: strategia dell’UE per l’integrazione del sistema energeticoCOM(2020) 299 final).

In questo quadro d’azione sono maturate le iniziative che mirano a supportare l’impiego di fonti energetiche alternative e la decarbonizzazione dei settori più emissivi.

Di grande supporto per il conseguimento degli obiettivi prefissati è considerato l’idrogeno e il sistema economico che deriverebbe dall’impiego di massa di questo elemento.

L’idrogeno, allo stato libero, a temperatura ambiente e a pressione atmosferica, ha forma di molecola biatomica (H2) ed è un gas incolore, inodore, altamente infiammabile.

Il grande interesse per l’idrogeno come vettore energetico, è fondato, come confermato dagli operatori di settore, sulla consapevolezza di alcune caratteristiche peculiari che lo rendono particolarmente versatile e flessibile, molto adatto a gestire la fase di transizione verso un sistema energetico sostenibile.

Le prime considerazioni in tal senso, riguardano le principali tecnologie di produzione dell’idrogeno e la loro possibilità, già dimostrata in casi su scala industriale, di poter sostenere la transizionedall’utilizzo di fonti fossili verso l’impiego di fonti rinnovabili.

Nonostante l’idrogeno sia l’elemento più abbondante dell’universo osservabile (la materia diffusa interstellare è formata soprattutto da idrogeno, così come quella condensata nelle stelle, fra le quali il Sole”), sulla Terra è “scarsamente presente allo stato libero e molecolare e deve quindi essere ottenuto mediante processi di trasformazione, al fine poi di poter essere impiegato nei suoi utilizzi.

A seconda del processo di trasformazione, della fonte (fossile o rinnovabile) utilizzata e della presenza/assenza di tecnologie (CCS) finalizzate alla cattura e stoccaggio/recupero dell’anidride carbonica (CO2), si usa distinguere tre “tipologie” di idrogeno: grigio; blu; verde.

L’“idrogeno grigio” (attualmente rappresenta circa il 95% della produzione totale) è prodotto da fonti fossili, senza cattura e stoccaggio/recupero della CO2, con processi di trasformazione quali: Steam Reforming / Steam Methane Reforming (del Gas Naturale); gassificazione del carbone; reforming/cracking di idrocarburi; elettrolisicon Energia Elettrica da fonti fossili.

L’“idrogeno blu” è prodotto da fonti fossili, ma con tecnologie che consentono la cattura e stoccaggio/recupero della CO2 fino all’80-90% del totale, con processi di trasformazione quali: Steam Methane Reforming (con tecnologie CCS); Elettrolisi dell’acqua con Energia Elettrica da fonti a bassa emissione di CO2.

L’“idrogeno verde” è prodotto da fonti rinnovabili con processi di trasformazione quali: Steam Methane Reforming di biometano/biogas;fermentazione batterica di biomasse (purché conformi ai requisiti di sostenibilità); Elettrolisi con Energia Elettrica da fonti rinnovabili (fonti come fotovoltaico ed eolico).

Esiste dunque una parte di tecnologie, comune alle tre “tipologie” sopra descritte ed è opinione condivisa dagli operatori di settore che ciò dovrebbe rendere più agevole le opportunità di transizione verso l’utilizzo di fonti rinnovabili nel processo di produzione.

Un altro procedimento per ottenere idrogeno a basse emissioni di carbonio è rappresentato dalla gassificazione di rifiuti non riciclabili come il PLASMIX (plastiche miste post-consumo) e il CSS(combustibile solido secondario), in questo caso il rifiuto viene utilizzato come materia prima (MPS)(DIRETTIVA (UE) 2018/2001).

I processi di produzione dell’idrogeno sono sempre più oggetto di progetti di ricerca e sviluppo e ciò sta determinando la definizione di prospettive per soluzioni innovative come ad esempio (in corso di industrializzazione): processi di produzione di idrogeno da fermentazione anaerobica di biomassa in assenza di zolfo; processi di produzione fotocatalitica di idrogeno; processi di produzione di idrogeno da fotosintesi artificiale.

Attualmente, nel mondo, l’idrogeno è utilizzato in varie applicazioni industriali: principalmente nei processi di raffinazione del petrolio e di produzione dell’ammoniaca, altri utilizzi riguardano la produzione dell’acciaio (con tecnologie come quelle finalizzate alla riduzione diretta del minerale di ferro, cosiddette DRI – Direct reduction of iron); la produzione di metanolo; la produzione del vetro; e applicazioni legate al settore della mobilità (“The Future of Hydrogen, Seizing today’s opportunities“, IEA – International Energy Agency – June 2019).

Le analisi condotte su scala globale portano a verificare una continua crescita di domanda di idrogeno, attualmente soddisfatta con processi che utilizzano ancora in gran parte combustibili fossili, per cui la transizione delle tecnologie di produzione dell’idrogeno verso l’utilizzo di fonti rinnovabili potrà essere molto incisiva sulle riduzioni di emissioni (attuali e future) di gas climalteranti (come la anidride carbonicaCO2); inoltre la crescita stessa della domanda può rappresentare un riferimento economico importante a supporto degli investimenti sia per tecnologie comprensive di impieghi di fonti rinnovabili, sia per l’implementazione dell’utilizzo dell’idrogeno in nuovi settori.

Il posizionamento centrale dell’idrogeno rispetto ai molti settori in cui è già utilizzato, definisce un’altra sua caratteristica che viene ritenuta di enorme rilevanza ai fini di un concreto supporto alla decarbonizzazione e che consente il cosiddetto “Sector Coupling” (LINK) oltre che essere necessario per sviluppare al meglio le sue enormi potenzialità di accumulo e redistribuzione dell’energia prodotta da fonti rinnovabili (LINK).

E’ opinione condivisa che qualsiasi strategia di implementazione dell’idrogeno ne debba interessare in modo pervasivo l’intera filiera (stoccaggio, trasporto, distribuzione), così da rendere possibile la sua integrazione ottimale in tutti i settori in cui già è possibile delineare concrete realizzazioni. Oltre ai settori delle applicazioni industriali e di produzione dell’energia, ci si riferisce anche a settori come i trasporti (pesanti e non) dove l’idrogeno è utilizzato come base per il combustibile per i mezzi (auto, treni, navi), (es. FCEV etc.), e alle costruzioni (con soluzioni di riscaldamento che contemplino l’utilizzo dell’elemento e progetti di interi quartieri e città così alimentate).

«Promuovere azioni, a tutti i livelli, per combattere il cambiamento climatico» è uno degli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU, agenda che fa della sostenibilità (ambientale, sociale ed economica) il punto cardine di tutti i suoi contenuti, nella convinzione che non esista altra prospettiva per il futuro.

«Quanto al futuro, non si tratta di prevederlo, ma di renderlo possibile.» (Antoine de Saint Exupéry, Citadelle, 1948)

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