Seduto sul traghetto della Marine Atlantic, guardo lo skyline di Terranova scomparire all’orizzonte mentre scrivo. Vedo il dondolio delle onde dell’oceano, inspiro la sua brezza salata, sento il ronzio del motore della nave. Cerco di concentrarmi sulla stesura di questa frase, ma i miei occhi scrutano l’oceano alla ricerca di una balena che sguazza.

Secondo un nuovo articolo pubblicato su Cognitive and Behavioral Neurology, questi panorami, odori e sguardi sono solo ricordi, anche se mi sembra che stiano accadendo in tempo reale. Un team di Boston ha elaborato una nuova teoria della coscienza che la lega indissolubilmente alla memoria.

In poche parole, la coscienza si è evoluta come sistema di memoria. Ci aiuta a ricordare gli eventi della nostra vita – il quando, il dove, il cosa e il chi – che a sua volta può aiutarci a ricombinarli in modo creativo e flessibile per prevedere o immaginare possibilità alternative.

Il discorso si fa ancora più complesso. Invece di percepire il mondo in tempo reale, stiamo vivendo una memoria di quella percezione. In altre parole, la nostra mente inconscia filtra ed elabora il mondo sottotraccia e spesso prende decisioni in una frazione di secondo. Quando diventiamo consapevoli di queste percezioni e decisioni, cioè una volta che sono salite al livello della coscienza, stiamo in realtà sperimentando “ricordi di quelle decisioni e azioni inconsce”, spiegano gli autori.

In altre parole, è soprattutto la mente inconscia a guidare.

Grazie alla massiccia potenza di calcolo parallelo delle reti neurali biologiche – o circuiti neurali – gran parte dell’elaborazione cerebrale dell’ambiente circostante e delle sensazioni interne avviene senza che ce ne rendiamo conto. La coscienza, a sua volta, agisce come parte della nostra memoria per aiutare a legare insieme gli eventi in una narrazione coerente e seriale che scorre nel tempo, piuttosto che in frammenti di un sogno disarticolato.

“La nostra teoria è che la coscienza si sia sviluppata come un sistema di memoria utilizzato dal nostro cervello inconscio per aiutarci a immaginare il futuro in modo flessibile e creativo e a pianificare di conseguenza”, ha detto l’autore, il dottor Andrew Budson. “Non percepiamo il mondo, non prendiamo decisioni e non eseguiamo azioni direttamente. Invece, facciamo tutte queste cose inconsciamente e poi – circa mezzo secondo dopo – ci ricordiamo di averle fatte”.

Per ora, la teoria è solo una teoria. Ma vedere la coscienza attraverso la lente di un sistema di memoria potrebbe fornire nuovi indizi sui disturbi cerebrali, come ictus, epilessia, demenza e altri disturbi che compromettono la memoria o la coscienza. La teoria solleva anche domande sulla coscienza degli animali, dell’intelligenza artificiale e dei mini-cervelli, aiutando i neuroscienziati a sondare ulteriormente il modo in cui il cervello cosciente e quello inconscio lavorano insieme ogni secondo della nostra vita.

Come sono consapevole?

La coscienza ha solleticato i cervelli dei nostri più grandi pensatori per migliaia di anni. Perché si è sviluppata? A cosa serve? Come è nata? E perché è così difficile resistere agli impulsi (come la seconda porzione di pesce e patatine fritte incredibilmente croccanti)?

E che cos’è esattamente la coscienza?

È un po’ sconcertante che non ci sia ancora una definizione certa. In linea di massima, la coscienza è un’esperienza personale del mondo, compresa la nostra stessa esistenza. Concepito principalmente negli anni ’90 del XIX secolo, questo concetto di massima lascia ampio spazio a molteplici teorie.

Due idee dominano nelle neuroscienze, con sforzi globali per combatterle attraverso esperimenti accuratamente progettati. Una è la teoria dello spazio di lavoro neuronale globale (GNWT), secondo la quale il cervello integra le informazioni provenienti da più fonti in un unico “schizzo” di dati su uno “spazio di lavoro globale”. Questo spazio di lavoro, avendo conoscenza solo degli elementi che si trovano nella nostra attenzione, forma un’esperienza cosciente.

L’altra teoria mainstream, la Teoria dell’Informazione Integrata (IIT), ha invece una visione più connettiva. Qui la coscienza deriva dall’architettura neurale e dall’interconnessione delle reti cerebrali. Le proprietà fisiche e di elaborazione dei dati delle reti neurali, in particolare delle regioni posteriori del cervello, possono da sole generare la coscienza.

Altre teorie scavano in profondità nella complessa rete di connessioni neurali, suggerendo che i cicli di informazione tra le regioni cerebrali, estesi nel tempo e nello spazio, generano la coscienza. Alcuni suggeriscono che la consapevolezza del “sé” sia fondamentale per essere coscienti del mondo esterno.

Insomma, c’è uno zoo di teorie là fuori.

Un pizzico di memoria

La nuova teoria si è ispirata a idee precedenti e a dati sperimentali, giungendo a una conclusione sorprendente: la coscienza si è evoluta come parte della memoria, anzi, è il processo del ricordare.

Da tempo gli scienziati collegano la coscienza alla memoria episodica, un “diario” della nostra vita codificato dall’ippocampo. Intuitivamente ha senso: ciò che sperimentiamo consapevolmente è essenziale per formare i ricordi “di vita”, che associano diversi aspetti di un evento nel tempo. In questo caso, però, gli autori sostengono che la coscienza lavora di pari passo con le reti di memoria del cervello, formando insieme un “sistema di memoria cosciente” che dà origine alla coscienza.

Il team è partito da una considerazione preoccupante: la percezione cosciente è incredibilmente lenta e spesso ci inganna. Prendendo ad esempio varie illusioni uditive o visive – il vestito, per esempio – è chiaro che la nostra percezione cosciente è influenzata da molto più della realtà stessa. Allora perché diamo valore alla coscienza come modo di percepire, interpretare e interagire con il mondo?

La risposta, suggeriscono gli autori, è la memoria. La coscienza potrebbe essersi evoluta insieme alla memoria per permetterci di ricordare. Supponiamo di camminare in un quartiere familiare e di sentire un abbaio. In pochi millisecondi, l’abbaio passa alla nostra memoria di lavoro, un “blocco di schizzi” mentale per elaborare i dati. Lì, agisce come spunto per recuperare un ricordo precedente dello stesso abbaio e del muso di un cucciolo troppo zelante e desideroso di mordere le caviglie. Una volta ricordato, si attraversa rapidamente la strada.

In questo caso, la coscienza è assolutamente fondamentale per l’intera sequenza. Sentire l’abbaio, cioè percepirlo consapevolmente, fa scaturire la memoria per ricordare consapevolmente. Il cervello immagina quindi ciò che potrebbe accadere (un altro abbaio?), inducendovi a scappare. Senza la percezione cosciente dell’abbaio, non lo collegheremmo a un potenziale pericolo né ci sforzeremmo di evitarlo.

Ok, e allora?

Il punto cruciale, spiegano gli autori, è che la coscienza, in quanto parte critica della memoria, può aiutare a combinare in modo flessibile e creativo la memoria per pianificare azioni future. O, per dirla con le loro parole, “non c’è motivo per cui la coscienza debba operare in tempo reale”.

Ciò significa che, invece di sperimentare il mondo in tempo reale, potremmo percepire l’ambiente circostante e i pensieri interni come “ricordi”, come se vedessimo un cielo notturno pieno di stelle che in realtà potrebbero non esserci più. Inoltre, ci permette di proiettarci nel futuro o di raggiungere le profondità della creatività e dell’immaginazione, disegnando nuovi mondi basati sulla memoria, ma con nuovi modi di combinare quegli elementi.

Il cervello è famoso per le sue capacità di elaborazione parallela, e molto di questo avviene sotto il cofano. Un sistema di memoria della coscienza dà un senso alle informazioni inconsce disarticolate, scandendo il tempo di ogni pezzo in modo che i ricordi scorrano come un film.

“Anche i nostri pensieri non sono generalmente sotto il nostro controllo cosciente. Questa mancanza di controllo è il motivo per cui possiamo avere difficoltà a fermare un flusso di pensieri che ci attraversa la testa mentre cerchiamo di addormentarci, e anche il motivo per cui la mindfulness è difficile”, ha detto il dottor Budson.

Riformulando la coscienza come parte della memoria, il team spera che la teoria possa aiutare i pazienti con disturbi neurologici. Le persone colpite da ictus che colpiscono la corteccia o le vie neurali circostanti hanno spesso una ridotta capacità di usare i ricordi per risolvere i problemi o pianificare il futuro. Anche le persone affette da demenza, emicrania o epilessia presentano disturbi che causano alterazioni della coscienza e della memoria, spesso collegate tra loro.

Gli autori sono ben consapevoli di muoversi su terreni controversi. “Molte, o forse la maggior parte, delle ipotesi che stiamo proponendo potrebbero rivelarsi errate”, scrivono. Tuttavia, la verifica sperimentale della teoria può “avvicinarci alla comprensione della natura fondamentale e delle basi anatomiche della coscienza”.

Credito d’immagine: Greyson Joralemon / Unsplash

Articolo di Shelly Fan, tradotto e adattato da Saverio Fidecicchi e rinvenibile al link https://singularityhub.com/2022/10/25/could-consciousness-be-a-memory-system-new-theory-says-yes/

Article by Shelly Fan, translated and adapted by Saverio Fidecicchi and found at the link https://singularityhub.com/2022/10/25/could-consciousness-be-a-memory-system-new-theory-says-yes/