Fu annunciata per la prima volta nel 2013 dal Presidente cinese e Segretario del PCC Xi Jinping, durante una visita in Kazakistan nel settembre 2013, come «Silk Road Economic Belt» (Xinhua 2013).

Stiamo parlando della BRI («Belt and Road Initiative») – precedentemente OBOR («One Belt, One Road»).

Belt è l’abbreviazione di “Silk Road Economic Belt”, mentre Road sta per “21st Century Maritime Silk Road”: entrambi aspirano a rappresentare le due anime – una terreste, l’altra marittima – della nuova strategia di politica estera cinese.

Già nel 2017, non mancava chi era propenso a considerare la BRI come la più grande iniziativa infrastrutturale della storia, dal momento che coinvolgeva 68 paesi, il 65% della popolazione mondiale e circa il 40% del PIL globale; addirittura, al netto dell’inflazione di oggi, si configurerebbe come quasi una dozzina di volte più grande, in termini finanziari, del Piano Marshall  (Campbell 2017; Griffith, 2017).

Ben lungi dall’essere semplice proiezione civile ed economica cinese (nonostante la comunicazione ufficiale delle autorità cinesi insista sul concetto di «piattaforma di cooperazione internazionale aperta e inclusiva»), la BRI è un vero e proprio strumento di proiezione strategica cinese all’estero, che coinvolge anche PLA («People’s Liberation Army», le forze di difesa terrestri cinesi) e il loro braccio marittimo PLAN, «People’s Liberation Army Navy», ovvero la marina cinese (Amighini 2019; Amighini, Sciorati 2019).

Non solo quindi grattacieli, porti, ferrovie, telecomunicazioni, energia, ma anche basi militari e navali, private military companies, il tutto per estendere l’egemonia cinese nel mondo e assurgere a regia della globalizzazione – scambio di merci, di prodotti finanziari, di comunicazioni ed energia – sul pianeta.

Finora il problema della BRI è stato effettivamente inquadrato da un punto di vista che potremmo definire geopolitico: un’interpretazione classica.

L’aspetto moderno e, al tempo medesimo, inquietante delle già inquietanti ambizioni cinesi ruota però intorno non solo alla volontà di accaparramento di energia e materie prime, necessarie all’economia ed alla potenza militare cinese per emergere.

Di quale asset strategico Pechino sembrerebbe dunque soprattutto ghiotto?

Stiamo parlando dei dati, dei famosi Big Data, che permettono il training degli algoritmi di AI (Artificial Intelligence).

Ad esempio, WeChat, creata da Ma Huateng (conosciuto oggi come Pony Ma), applicazione creata come servizio di messaggistica sulla base di un software israeliano nel 1998, permette in Cina di fare tutto: dal riscuotere la pensione a divorziare, sino alle funzioni più basic come pagamenti e GPS. (Pieranni 2020)

O, ad esempio, Huawei, fondata nel 1987 da Ren Zhengfei, dal 1974 all’interno dell’Unità Information and Technology del genio militare del PLA: ne diventerà vicedirettore, senza gradi militari, e ne verrà smobilitato nel 1983.

Huawei, appunto, è al centro di una contesa fra Occidente (nell’accezione dei paesi NATO facenti capo agli USA) e Oriente circa le tecnologie delle telecomunicazioni (Belladonna, Gili 2019).

La multinazionale cinese è, in effetti, leader mondiale nella ricerca, nella produzione e nella commercializzazione di tecnologia di comunicazione e di reti; ciò che risulta meno chiaro e trasparente è il ruolo dei presunti investimenti all’interno del comparto azionario della società in questione da parte del PCC e, probabilmente, dell’intelligence e le forze armate cinesi (Colarizi 2019; Mieli 2019; Nepori 2019)

Sono sufficienti questi due esempi per capire come la BRI non sia soltanto una via della seta, ma soprattutto una mega autostrada digitale della connettività e dei dati, dei Big Data.

Lungo le due componenti, marittima e terrestre, di questa via della seta del XXI secolo, la BRI, si svilupperebbe così una pipeline di approvvigionamento di data per l’intelligenza artificiale di tutte le tech company facenti capo a Pechino, sostenuta da miliardi di utenti e device connessi nell’IoT (Internet of Things).

Nel lontano XIX secolo, Tolstoj ebbe ad affermare come temesse una cosa davvero per il futuro, ovvero un Gengis Khan con il telegrafo.

Oggi, il timore non è quello di un Gengis Khan con il telegrafo o quello di un Tamerlano con il telefono – come si diceva di Stalin negli anni ‘30 del Novecento; ma quello di un Qin Shi Huangdi armato di algoritmi.

Qin, infatti, fu il primo imperatore della Cina (amato e fonte di ispirazione del compagno Mao), e spietato e sanguinario creatore del primo regno cinese millenni fa.

Nel 2049 la Repubblica Popolare Cinese compirà cento anni. La data è la medesima entro la quale verrà raggiunto l’obiettivo della conclusione della BRI, secondo i progetti di Xi, dei suoi collaboratori e della classe dirigente cinese.

In questo grande gioco del XXI secolo, in cui ci si fronteggia (anche) a suon di algoritmi, ancora rimangono validi gli insegnamenti strategici di Henry A. Kissinger, già 56° segretario di Stato e 8° consigliere per la sicurezza nazionale statunitense di origine tedesca: e cioè che ogni rischio cela un’opportunità e viceversa.

Forse la tecnologia, le multinazionali e l’onlife prenderanno il sopravvento sulla geopolitica classica e sulla diplomazia per come l’ha (gloriosamente) vissuta da protagonista Kissinger, tuttora scaltro architetto e ascoltato consigliere della politica estera americana.

Ma finché non ci sarà pacificazione globale e vi saranno competizioni fra stati e potenze – come nel caso di quella sino-americana, la verità è che una politica estera dovrà portata avanti con realismo, strategia e realpolitik.

Se poi davvero gli Stati Uniti riusciranno a portare avanti una strategia vincente nei confronti della Cina è difficile dire.

In effetti, la domanda potrebbe essere formulata in questo modo: che cosa possiamo insegnare di strategia a una civiltà, quella cinese, che ha partorito Sun Tzu ed il suo pensiero strategico millenni prima di Machiavelli e di Clausewitz?

References

Amighini A. (2019), Cinque anni di Belt and Road: non solo trade e connettività, ISPI https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/cinque-anni-di-belt-and-road-non-solo-trade-e-connettivita-22257

Amighini A., Sciorati G. (2019), Fact Checking: BRI, la nuova via della seta, ISPI, https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/fact-checking-bri-la-nuova-della-seta-2378

Belladonna A., Gili A. Scontro USA-Cina: il dossier Huawei, ISPI, https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/scontro-usa-cina-il-dossier-huawei-23159

Campbell C. (2017), China Says It’s Building the New Silk Road. Here Are Five Things to Know Ahead of a Key Summit, Time, https://time.com/4776845/china-xi-jinping-belt-road-initiative-obor/

Colarizi A. (2019), Usa-Cina, sospetti di spionaggio: molti dipendenti Huawei hanno legami con l’intelligence o le forze armate di Pechino, Il Fatto Quotidiano, https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/07/12/usa-cina-sospetti-di-spionaggio-molti-dipendenti-huawei-hanno-legami-con-lintelligence-o-le-forze-armate-di-pechino/5319629/

Griffith J. (2017), Just what is this One Belt, One Road thing anyway?, CNN, https://edition.cnn.com/2017/05/11/asia/china-one-belt-one-road-explainer/index.htm

Jullien F. (1998), Trattato dell’efficacia, Torino; Einaudi

Kissinger H. A. (2011), On China, New York: Penguin Press.

Kissinger H. A. (2014), World Order, New York: Penguin Press.

Mieli R. (2019), Perché i legami tra Huawei e governo cinese non sono favole. Parla Terzi, Formiche, https://formiche.net/2019/07/legami-huawei-governo-cinese-terzi/

Nepori A (2019), Huawei e i legami con l’intelligence cinese: la CIA avrebbe le prove. L’azienda di Shenzhen ribatte: accuse non circostanziate e prive di ogni fondamento, La Stampa, https://www.lastampa.it/topnews/tempi-moderni/2019/04/26/news/huawei-e-i-legami-con-l-intelligence-cinese-la-cia-avrebbe-le-prove-1.33697922

Pieranni S. (2020), Red Mirror. Il nostro futuro si scrive in Cina,Bari-Roma: Laterza.

Xinhua (2013), President Xi proposes Silk Road economic belt, https://www.chinadaily.com.cn/china/2013xivisitcenterasia/2013-09/07/content_16951811.htm