Autrice: Alessia Guarnaccia
I robot sono “apparati meccanici ed elettronici programmabili“, in grado di “eseguire automaticamente ed autonomamente” lavorazioni e operazioni in sostituzione dell’uomo. Il riferimento è in particolare ai lavori ripetitivi, complessi, pesanti, pericolosi. Il termine stesso deriva dalla parola ceca “robota” che significa “corvée, lavoro faticoso, servitù”, coniato nel 1920 dallo scrittore e drammaturgo ceco Karel Čapek (e dal fratello Josef, pittore, grafico, scrittore, poeta) per riferirsi ai “lavoratori artificiali” presenti nel suo dramma R.U.R. (Rossumovi Univerzální Roboti). Nel 1979, il Robotic Institute of America (RIA) definisce il robot come un “manipolatore multifunzionale riprogrammabile progettato per spostare materiale, componenti, attrezzi o dispositivi specializzati, attraverso movimenti variabili programmati per l’esecuzione di una varietà di compiti”. Nell’ambito di questa accezione, legata agli iniziali sviluppi della robotica, la Società Italiana di Robotica e Automazione (SIRI) sottolinea la capacità del robot di “interagire con l’ambiente nel quale si svolge il ciclo tecnologico di trasformazione relativo all’attività produttiva”. In questa prospettiva emerge la peculiarità del robot rappresentata dalla capacità di reagire a una situazione ambientale rilevata, in vista di un compito. Il professore Michael Brady, fondatore del “Robotics Research Laboratory” all’Università di Oxford, descrive la robotica proprio come “la connessione intelligente tra percezione ed azione”.
Il robot ha specifiche unità funzionali che consentono il movimento, la percezione dell’ambiente circostante, la possibilità di agire governando i propri componenti. L’“unità meccanica” è rappresentata dagli “apparati per compiere operazioni e attività in un posto fisso” oppure che rendono in grado di spostarsi; utilizzando un parallelismo con il corpo umano sono gli “arti superiori” (bracci meccanici con estensioni End Effector o End-of-Arm Tooling – EOAT) e “arti inferiori” (apparati come ruote, rotelle, slitte, sistemi di cinematica di vario tipo, fino ad arrivare a vere “gambe meccaniche”, proprie dei robot più sofisticati). Le capacità di movimento di un robot sono definite dai gradi di libertà (degrees of freedom – DOF) che esso possiede; in fisica “i gradi di libertà di un sistema meccanico sono il numero di parametri indipendenti che ne definiscono la configurazione o lo stato”, quanto più è elevato il numero, “tanto più il robot è sofisticato e avanzato nei suoi movimenti”. Una “struttura sensoriale” consente poi ai robot di “percepire il contesto in cui operano”, acquisendo dati, sia sul proprio stato interno (sensori propriocettivi), sia sull’ambiente esterno circostante (sensori esterocettivi) (LINK). I connettori tra percezione ed azione rappresentano l’“unità di controllo”, data da “attuatori (motori elettrici, sistemi idraulici o pneumatici, ecc.) e algoritmi di controllo (per il pilotaggio degli attuatori)”, sistemi che consentono al robot di compiere “le attività per cui è stato sviluppato con il grado di precisione e forza programmati”. Infine l’“unità di governo” (“organi di memorizzazione e calcolo”) gestisce “le operazioni che deve svolgere il robot sulla base di un modello interno” della macchina robotizzata e “dei dati forniti dai sensori”. Questa unità funzionale è rappresentata dai “sistemi che consentono di programmare, calcolare, verificare il lavoro svolto dalle macchine robotizzate” ed è solitamente costituita da “sistemi hardware (processori, memorie, ecc.) e sistemi software (programmi applicativi, algoritmi di calcolo codificati in linguaggi di programmazione, standard o dedicati)” (LINK).
I robot sono dunque sistemi ibridi complessi in continua evoluzione, che contano già una prima, seconda, terza generazione; in quest’ultima, hanno un’intelligenza artificiale che li rende in grado di costruire (in autonomia, senza l’intervento dell’uomo) nuovi algoritmi e di verificarne la coerenza rispetto a compiti od obiettivi prefissati.
Le principali categorie in cui si possono distinguere, sono relative all’autonomia, concetto legato alla “capacità di un sistema di prendere le proprie decisioni in base a come percepisce l’ambiente circostante”, elaborando risposte a situazioni anche impreviste; tre “i concetti che giocano un ruolo cruciale nello sviluppo di azioni autonome: percezione, decisione e attuazione”(LINK). In questa prospettiva i robot possono essere completamente autonomi, semiautonomi, non autonomi a seconda dell’”entità del controllo fornito loro”. I robot autonomi hanno il sistema di controllo incorporato; quelli semiautonomi e non autonomi hanno il dispositivo di controllo localizzato esternamente (LINK).
I robot possono essere antropomorfi se hanno caratteristiche umane come gambe, vista, bracci meccanici assimilabili ad “arti superiori” (anthrobotics) (nell’ambito di questa categoria rientrano molti robot industriali anche cosiddetti cobot – collaborative robot), ma possono essere pure “non fisici” come i robot software, tra questi alcuni sono sistemi e programmi rientranti nell’ambito dell’intelligenza artificiale, altri “assumono “sembianze fisiche” attraverso ologrammi o immagini e oggetti digitali grazie a realtà aumentata e realtà virtuale” (un esempio, i sistemi di RPA – Robotic Process Automation, capaci di “eseguire in modo automatico attività ripetitive imitando il comportamento degli esseri umani e interagendo con le applicazioni informatiche”). I robot possono anche essere estremamente piccoli (come i nanorobot che “hanno dimensioni assimilabili a quelle molecolari o addirittura atomiche”, costruiti con metodi e strumenti propri della nanotecnologia); possono riprodurre le dinamiche degli sciami (la swarm robotics, nota anche come “robotica degli sciami” o “robotica collettiva” è una disciplina, “legata all’intelligenza artificiale, che studia i comportamenti e le attitudini degli insetti sociali allo scopo di riprodurre tali caratteristiche in un sistema di robot semplici”, con l’’obiettivo di risolvere “compiti complessi che un singolo individuo non riuscirebbe a realizzare” LINK). I robot possono avere forma di animali (robotic pet) oppure essere implementati in modelli di automobile (macchine a guida autonoma).
I robot umanoidi (humanoid robot), anche detti androidi (Ginoide/Gynoid o fembot se hanno fattezze femminili), hanno sembianze umane; i loro costruttori mirano a sviluppare somiglianze ed abilità fisiche, ma anche capacità sensoriali e cognitive. In alcuni casi sono costruiti come riproduzione fedele, sia nell’aspetto fisico che nei movimenti, di specifici essere umani (il cosiddetto geminoide, robot “gemello” di un essere umano); possono mimare le espressioni facciali, il parlare ed il respirare degli umani, alcuni modelli sono “dotati della capacità di riconoscere il parlato e di rispondere a tono” (come gli Actroid).
L’evoluzione tecnologica sta portando allo sviluppo di prototipi sempre più complessi e alla discesa in campo di multinazionali in grado di allocare ingenti risorse e investimenti sul tema. All’AI Day 2022, Tesla ha presentato Optimus, il prototipo di robot umanoide autonomo, a distanza di solo un anno dall’annuncio del progetto nel 2021, pensato fin dall’inizio per poter essere prodotto in larga scala. Boston Dynamics (Hyundai) negli ultimi anni ha presentato notevoli avanzamenti in robot come Atlas, Handle, Spot, così anche società come Softbank Robotics (robot Pepper), Agility Robotics (robot Digit) e molte altre.
L’ambita somiglianza con l’essere umano pare sempre più raggiungibile con le sofisticazioni a cui l’accelerazione tecnologica ci sta abituando. Ciò rende percepibile la possibilità dello svilupparsi di scenari solo immaginati dalla narrativa fantascientifica fino ad ora . Contesti in cui l’interazione pervasiva fra il genere umano e i robot può portare a dover ripensare alcuni aspetti fondanti della civiltà, a cominciare dal ripensamento di come istruire e declinare la creatività e il talento umano in un contesto economico, produttivo e sociale potenzialmente rivoluzionato dalla manodopera robotica, trovando nuovi modi per valorizzare l’uomo al di là delle attività tradizionalmente concepite come produttive e intese come “lavoro”. Cambiamenti di paradigma dovuti all’impiego massiccio di robot con intelligenza artificiale generale (AGI), in grado di agire autonomamente nel contesto sia produttivo che sociale tra gli esseri umani, capaci di assumere in carico attività finora appannaggio solo degli uomini (comprese anche quelle intese più propriamente umane come la cura e la compagnia, assistenza agli anziani ed ammalati, la produzione di contenuti anche creativi) (David Orban – LINK).
«Un robot non può recare danno all’umanità, né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, l’umanità riceva danno» Legge Zero della Robotica (Robot Daneel Olivaw in Robots and Empire di Isaac Asimov).
L’immaginario collettivo sull’interazione tra il genere umano e i robot è stato fortemente influenzato dalla narrativa fantascientifica. I timori sulla competizione che porterebbe i robot a ribellarsi ai propri creatori o persino a sterminare la specie umana, hanno rimarcato da sempre la questione etica e morale sottesa alla convivenza tra robot e umani.
Un magistrale interprete di questi sentimenti è stato lo scrittore (e biochimico) russo naturalizzato statunitense, Isaac Asimov esponente della cosiddetta hard science fiction, la “categoria di fantascienza caratterizzata dalla preoccupazione per l’accuratezza scientifica e la logica”, così da rendere plausibilmente veritiere, anche dal punto scientifico, gli scenari futuristici immaginati. Protagonisti dei racconti di Asimov sono i robot positronici che rispondono alle celebri tre leggi della robotica (ideate dallo scrittore agli inizi degli anni ‘40 del novecento, a cui, successivamente ne fu aggiunta una quarta, la Legge Zero); leggi che, rappresentando “la necessità di sicurezza (la Prima Legge), servizio (la Seconda Legge) e autoconservazione (la Terza Legge) di questi “utensili” sofisticati”, mostravano il fondamentale impegno a governare la coesistenza tra robot e umani.
Scenari futuristici proposti dalla fantascienza che hanno fortemente influenzato e, probabilmente, orientato, anche scienziati e inventori. D’altronde, ricreare un automa (αὐτόματος, che si muove da sé) è stata un’ambizione dell’essere umano dalla notte dei tempi. Si narra che le statue degli antichi egizi avessero meccanismi che le animassero così da poter svolgere precisi ruoli nelle cerimonie religiose. L’idea di oggetti semoventi compare anche nella cultura dell’antica Grecia, nelle opere dei poeti Omero ed Esiodo, con figure mitologiche come Talos (Τάλως) un gigante di bronzo, guardiano dell’isola di Creta oppure negli scritti di Erone di Alessandria, dove venivano illustrati “dispositivi azionati dall’acqua, da pesi in caduta e dal vapore”. Nell’antica Cina sono riportate testimonianze della realizzazione di automi e di meccanismi semoventi, spesso di natura idraulica, durante la dinastia Han (206 a.C. al 220 d.C.), la dinastia Sui(581 – 618 d.C.), la dinastia Tang (618-907 d.C.) (LINK). Anche nel mondo islamico furono diversi gli inventori attivi; tra i più documentati Al Jazari (1136-1206 d.C.) autore del trattato Compendio sulla teoria e sulla pratica delle arti meccaniche “dove descrisse cinquanta dispositivi meccanici (automi) con le istruzioni per costruirli”. Lunga la storia di automi e meccanismi semoventi anche nella cultura europea, dal medioevo (Ruggero Bacone e Alberto Magno si narra avessero realizzato, rispettivamente, una testa parlante e un uomo di ferro; schizzi illustrativi di “oggetti meccanici decorativi per uso ecclesiastico” erano nel Livre de Portraiture dell’architetto Villard de Honnecourt), al rinascimento (disegni dettagliati di Leonardo da Vinci raffiguravano un cavaliere meccanico in armatura che “appare capace di effettuare diversi movimenti analoghi a quelli umani”, sembra emettendo anche “suoni dalla bocca grazie ad un sofisticato meccanismo di percussioni collocato nel petto”; giochi d’acqua ed elaborati meccanismi di movimento arricchivano l’estetica degli oggetti, dalle fontane agli ornamenti da tavola costruiti da artigiani/artisti come Hans Schlottheim cheunivano la sapienza della costruzione meccanica a quella dell’oreficeria). Tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo fanno la loro comparsa gli automi più complessi, tipici gli uccelli canori in miniatura, i tableaux mécaniques (quadri meccanici, paesaggi dipinti in cui le “figure prendono vita grazie a un meccanismo a orologeria nascosto”); i teatri meccanici (come quello assemblato nei giardini di Hellbrunn in Austria, tra il 1748 e il 1752 “costituito da 113 figure azionate idraulicamente”) (LINK).
In continuità con il talento e la creatività dimostrati nella storia della sua evoluzione, la specie umana continuerà inevitabilmente ad esplorare i meandri della conoscenza e ad utilizzare l’inevitabile tecnologia che ne consegue. «…Non riuscivo a condividere l’opinione che, se la conoscenza è pericolosa, la soluzione ideale risiede nell’ignoranza. Mi è sempre parso, invece, che la risposta autentica a questo problema stia nella saggezza. Non è saggio rifiutarsi di affrontare il pericolo…Qualsiasi innovazione tecnologica può essere pericolosa: il fuoco lo è stato fin dal principio, e il linguaggio ancor di più; si può dire che entrambi siano ancora pericolosi al giorno d’oggi, ma nessun uomo potrebbe dirsi tale senza il fuoco e senza la parola» (Isaac Asimov, The Robots of Dawn)
Link iscrizione evento: https://app.singularityumilan.com/event/incontro-48
References:
Asimov I., Ciclo dei Robot
Asimov I., Ciclo delle Fondazioni
Ford M., Il dominio dei robot. Come l’intelligenza artificiale rivoluzionerà l’economia, la politica e la nostra vita, Il Saggiatore, 2022
Kelly K., L’inevitabile: le tendenze tecnologiche che rivoluzioneranno il nostro futuro, l Saggiatore, 2017
Curtoni V., Robot 64, Milano, Delos Digital srl, 2012
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